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Share: alla moda ma solidali

shafeRendere la moda “democratica, solidale e di pregio”: è l’obiettivo di “Share” il primo negozio di capi di qualità di seconda mano con finalità sociali aperto il 12 marzo a Milano. “Share” sta per “Second Hand REuse”, riutilizzo di seconda mano, appunto, e nel negozio di via Padova 36, i clienti troveranno vestiti e accessori come fossero nuovi e a prezzi molto vantaggiosi (non supereranno i 12.50 euro), avendo anche la possibilità di condividere (“share”) un progetto di utilità sociale. I proventi del negozio – un’iniziativa promossa dalle cooperative legate alla Caritas ambrosiana del Consorzio Farsi Prossimo, con il sostegno di Fondazione Cariplo e della London Stock Exchange Group Fondation – saranno destinati a un progetto di housing sociale  per mamme e bambini nello stesso edificio di via Padova 36.  Share vuole essere non solo un negozio ma una community, nella quale attraverso un sito dedicato e un pagina Facebook i clienti possono verificare in che modo i loro acquisti contribuiscano ai progetti sociali. Un progetto ambizioso e una scommessa imprenditoriale, come spiega Carmine Guanci, della cooperativa “Vesti solidale” aderente al Consorzio Farsi Prossimo.
Abiti usati di qualità trasformati in progetti sociali: come funziona?
Guanci: Vogliamo verificare se è vero che è cambiata la propensione media al consumo, come affermano le statistiche. Secondo l’Osservatorio di Findomestic negli ultimi 5 anni il 48% degli italiani ha fatto ricorso all’usato e il 41% dichiara di voler incrementare gli acquisti in questo settore. Per questo, attraverso Share offriamo a un target tra i 19 e i 49 anni un ambiente giovane, alla moda, “cool” come si dice, realizzato dagli architetti in stile eco-chic, dove possono trovare degli abiti che fanno bene all’ambiente in quanto passati attraverso un processo di recupero che allunga la vita di capi smessi e li rimette in circolo. Inoltre possono essere partecipi del progetto di housing sociale realizzato nella stessa via Padova, una strada che abbiamo scelto proprio a causa dei problemi di integrazione che si sono verificati in passato. C’è l’immediata evidenza della restituzione al territorio della ricchezza generata.
Bisogna riciclare perché ci sono in giro pochi soldi o per un altro motivo?
Guanci: Poiché abbiamo pochi soldi dobbiamo stare attenti a come spenderli. Findomestic ha rilevato che la propensione all’usato non dipende dalla crisi ma dall’evoluzione degli stili di consumo. Le imprese sociali intercettano questa evoluzione per produrre una ricchezza che non è destinata ad essere accumulata da una persona sola ma redistribuita al territorio secondo una finalità sociale. E’ la filosofia che sta dietro al Consorzio Farsi Prossimo che riunisce 11 cooperative legate a Caritas ambrosiana e offre 170 servizi in tutta la provincia di Milano con case di accoglienza, servizi per anziani, malati psichici, rifugiati politici, progetti educativi che impiegano circa 1200 lavoratori svantaggiati.
Si può mettere insieme solidarietà e profitto d’impresa?
Guanci: E’ quanto tentiamo di dimostrare dal 1998, occupandoci del riciclo di indumenti usati con Vesti solidale. Ci occupiamo di tirare fuori il valore delle cose che sono state scartate da altri. E, in fondo, è la stessa cosa che facciamo con le persone più fragili che vengono impiegate nei progetti: anche loro sono state “scartate” perché hanno alle spalle storie di carcere o tossicodipendenza oppure perché in qualche momento si sono trovate in difficoltà senza avere nessuno a sostenerle: penso a chi perde il lavoro o a padri di famiglia messi in difficoltà economica da una separazione. Tiriamo fuori il valore che hanno dentro. La mia cooperativa “Vesti solidale” l’anno scorso ha recuperato dalle cose scartate un valore di 325 mila euro da destinare a progetti sociali. In questi anni abbiamo raggiunto quasi 2 milioni di euro. Il welfare pubblico riduce le risorse e allora spetta al Terzo Settore inventare soluzioni per andare incontro alle fragilità.
Quali saranno i prossimi passi?
Guanci: Lo store di via Padova 36 è un progetto pilota. Se la scommessa riesce apriremo altri punti vendita in altre città dove ci sono cooperative sociali pronte ad associarsi a noi e ad adottare in franchising il marchio “Share”. Ci sono contatti già per altri due negozi a Milano, Varese, Lecco, Monza, Bologna e Napoli. Una catena, in pratica, ma della solidarietà e per una moda attenta al sociale.