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Temporary store, Gallerie Commerciali Italia incubatore d'impresa per lo start up di insegne e catene.

Il Temporary store come elemento chiave della dinamicità dei centri commerciali, palcoscenico per i marchi, oltre che veri e propri media al pari di web o televisione per un rapporto esperienziale con i clienti, sempre più raffinati nella progettazione e nell'arredo degli spazi e ormai incubatori di impresa dove nascono e si consolidano iniziative che poi diventano marchi o addirittura franchising.
Un segmento di business che sta diventando sempre più interessante per i property manager dei centri commerciali al punto da richiederne una figura dedicata allo sviluppo e un aggiornamento normativo sugli affitti commerciali che faciliti la permanenza breve delle insegne.
Sono i punti chiave emersi al convegno "Palla al Centro... Commerciale. A proposito di spazi temporanei nei mall", tenuto a Milano, giovedì 26 ottobre, organizzato da Assotemporary e Gallerie Commerciali Italia con gli interventi di Massimo Costa, segretario generale di Assotemporary; Edoardo Favro, Amministratore delegato di GCI; Massimo Moretti, presidente di CNCC, l'associazione italiana dei centri commerciali; Luca Pellegrini, docente di Marketing allo Iulm; Corrado Furlan, esperto di marketing esperienziale nel retail; l'architetto Aldo Faleri, docente al Politecnico di Milano, Maurizio Governa, Presidente di Moda & Sport Lombardia; Anita Lissona, CEO di Lead Communication; Daniele Del Pozzo, di SD Show-room; Valeria Bortone di Cool Hunter Italy, e moderato dal direttore di Retail&Food, Andrea Aiello.
Gallerie Commerciali Italia rappresenta una case history virtuosa. Su 48 centri commerciali, sono 50 i temporary shop, con una trasformazione in definitivo del 40%.
«È cambiato il mondo, oggi rimangono i bravi - è il commento di Edoardo Favro, Ad di Gallerie Commerciali Italia -. Le gallerie si erano in parte svuotate con la crisi iniziata nel 2008. Ma sempre più persone ci chiedevano spazi. Ci abbiamo pensato e abbiamo capito che era il momento di soddisfare queste richieste, a prezzi politici, per un periodo di tre o quattro mesi. Così un fenomeno nato da una problematica è stato trasformato in un'opportunità. Per noi e per le iniziative imprenditoriali, soprattutto di giovani, cui abbiamo cercato di dare una mano e che poi sono diventati stanziali o che addirittura si sono evolute in piccole catene. Perciò abbiamo deciso di tenere una quota degli spazi dedicata proprio ai Temporary».
«Sul fenomeno dei Temporary store - conclude Edoardo Favro - serve comunque un cambiamento concettuale anche per la base contrattuale. Abbiamo visto che la formula dell'affitto del ramo d'azienda inizia a funzionare e che il 40% di chi lavora con noi poi cerca uno spazio stabile. Servirebbe una base contrattuale più leggera che aiuterebbe tutti».
Una carrellata sui numeri del fenomeno Temporary store sul territorio nazionale li ha forniti il segretario generale di Assotemporary Massimo Costa. Ad oggi il 62% delle aperture è dedicata ancora alla vendita outlet, solo il 15% è diretto ad azioni di marketing come la profilatura dei clienti o la sperimentazione di negozi monomarca a basso costo, mentre solo il 10% delle aperture è finalizzata alla creazione di eventi. Vendita in periodi particolari dell’anno e per stimolare l’acquisto d’impulso si dividono, in parità, l’ultimo 10%. Le città del Temporary shop vedono Milano in testa, con il 70%, seguita da Roma e Napoli con il 10%, Altri capoluoghi come Firenze, Bologna e Venezia si dividono un altro 10%, e infine un ultimo 10% nelle medie città del Centro-Sud. Per quanto riguarda i settori merceologici, Moda e Design occupano il 58% dei Temporary store, seguito dal 10% del food senza somministrazione, l’8% da gioielleria e bigiotteria, il 7% dall’auto, un 5% dal food con somministrazione e il 12% da settori residuali.
Infine i luoghi scelti per le aperture Temporary. Location metropolitane e cittadine sono quelle più richieste, con il 77%, seguite dai centri commerciali con il 12%, luoghi di transito come aeroporti e stazioni si fermano all’8%, altri luoghi completano con il 3% la percentuale distributiva.
«La vendita sta prendendo sempre più peso - spiega Massimo Costa, segretario generale di Assotemporary -, e ci si sposta dalla vendita outlet all’elemento emozionale, che abbia contenuti di comunicazione. Oggi nel retail fisico il negozio deve emozionare e, aggiungo, deve anche correre; visto che il commercio su ruote sta espandendosi ben oltre il food truck. Si deve cioè lavorare sulla cross-canalità, l’online deve avere un rapporto con la strada, come insegna la vendita dell’abbigliamento, e offrire nuovi servizi. Le novità più interessanti arrivano dal co-working che assieme ai temporary office si stanno affacciando nei centri commerciali. E Milano è la città che fa sicuramente la parte del leone, visto che copre il 70% della presenza di Temporary store in Italia».